sabato 28 giugno 2008

Capitolo primo

Sulla ospitalità o sulla necessità della conoscenza.

Succede che trovandosi sotto un albero, al bordo di un fiume, Aiace osservava una foglia che testardamente galleggiava e gli scorreva davanti. Pensò che prima o poi sarebbe giunta al mare. Come fosse questo mare, non ne aveva idea. Gli avevano detto che non era nulla di particolare, ma era salato, e se puntavi lo sguardo all'orizzonte non ne vedevi la fine. Tutta quell'acqua, pensava, inutile, perché non la potevi bere. Anzi dicevano che ti avvelenava.

Tutto il mondo di Aiace era racchiuso dalle montagne. Tutto il suo mondo era una manciata di chilometri quadrati, tutto quello che poteva vedere salendo sulla collina che stava vicino casa. Il suo mondo era una piccola porzione di quella terra che chiamavano Arcadia.

E mentre pensava a tornare a casa, perché aveva ormai dato ristoro alle sue sue ossa, sentì un rumore che veniva dal sentiero che gli stava sopra. Infatti il fiume si trovava a tre o quattro metri al di sotto del livello dei campi, dopo aver testardamente scavato la terra e essersi protetto con pudore, fornendosi di un vestito fatto di alberi. Non aveva paura, ma un timore lo pervase, perché quell'incedere incerto non gli era familiare. Infatti quando gli fu abbastanza vicino, vide un vecchio.

Mentre scendeva malediceva la vecchiaia e disse con un sorriso imbarazzato: "Puoi dare riposo a questo vecchio che ha viaggiato per tanto tempo, senza trovare una casa dove mangiare?"
Aiace allora si accorse che quello era un cantore e rilassò quella muscolatura che era diventata tesa, pronta all'attacco. "Sì, ma non posso ospitare un uomo di cui non conosco il nome."
"Io sono Tiresia, forse la mia fama mi ha preceduto?"
Non era così, tanto che il ragazzo dovette trattenere una risata, perché trovava ridicolo il prendersi tanto sul serio, come per contrasto con la saggezza antonomasica delle persone anziane.
"Vedo che non è così, giovanotto, per cui credo che tu abbia bisogno delle mie parole, al costo di un buon pasto!"

Quando furono sul sentiero verso casa, entrambi si accorsero, l'uno compiaciuto, l'altro un po' infastidito, della forza delle parole, della grandezza della conoscenza nell'opera di persuasione. Infatti le parti si erano invertite, quello che stava dietro non era più un vecchio che mendicava un pasto, ma era il maestro, col diritto poter chiedere al discepolo il meglio. E lo scolaro in fondo non aveva troppa amarezza nel cuore per essere stato in un certo senso circuìto. Vedeva infatti in quella visita un'opportunità di fuggire la noia e la solitudine. Pensava, mentre saliva il sentiero, per giungere alla sua casetta a mezza costa, di una collina non molto alta, che era bello ascoltare di nuovo quelle storie, di quando il mondo era una locomotiva, tutto teso verso il progresso. Ed era piccolo. Quando la gente aveva la vita piena, di quando giungevano da tutta la terra frutti dolcissimi e stranissimi. Di quando l'Arcadia era andata a combattere nell'altra metà del mondo. Di quando c'era ancora il petrolio.

Arrivati dentro, si sedettero al tavolo di legno. Aiace versò un vino denso e scuro, così per sciogliere l'anima e dare all'aedo l'energia per iniziare il racconto. Sollevato il bicchiere in segno di ringraziamento, lo guardò profondamente per lungo tempo.
"Lo sai che questo mi ricorda il passato, quello che tu non hai vissuto"
Bevve con una foga che non ti aspetteresti da una figura tanto ieratica, come appariva agli occhi del ragazzo in quel momento. Rivoli di vino gli scendevano dalla bocca e andavano a macchiare una veste avvezza a trattenere gli alcolici.
"Non voglio cantare le gesta di quello o di questo. Perché voglio raccontarti qualcosa che vale più di tutto il mondo, la chiave per raggiungere tutta la conoscenza del mondo appena passato. Siamo in tempi bui, di un'umanità sprofondata nella barbarie. Qui in Arcadia vivete una vita tranquilla, ma appena lì fuori, in Attica..."

Fece una pausa interminabile. Aiace, che fino a quel momento teneva in mano il suo bicchiere, stregato dalle parole, lo alzò anche lui e ingurgitò il liquido, ma con più contegno, come conviene ad un padrone di casa. "Ora ti racconto tutto e ti prometto di non fermarmi più, cosicché ti potrò onorare della tua ospitalità. Tu, di contro mi potrai ripagare con un buon pasto!" E rise.